Alcuni dati
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Alcuni dati
Milano, 21 gennaio – Nel 2010 sono stati 25.558 – un intero comune, e non dei più piccoli – i docenti “tagliati” dalla scuola pubblica, sia per la riforma degli orari che per il mancato turn over. Certo, a leggere queste cifre, l’ex studente che è in tutti noi, sotto sotto, uno “sfriccichio nel core” magari lo sente anche. Imvece, sono cifre da leggersi come quelle di un “bollettino dei caduti” di guerra, della guerra tra istruzione e istituzioni, tra stato e cultura che infuria nel nostro paese da qualche anno.
Facendo vittime in tutte le categorie: i ragazzi, ai quali viene offerta una formazione sempre meno accurata e competente, i professori, che vedono peggiorare le già inique condizioni economiche del loro contratto, le famiglie, che a fronte dell’offerta di un servizio peggiore non vedono certo diminuire l’imposizione fiscale, ma anzi aumentare gli stanziamenti a favore della scuola privata.
Qualche altro dato. La situazione dei precari nella provincia di Milano, per esempio: all’1/9/2010 le immissioni in ruolo erano 686, contro 5.000 cattedre scoperte; in pratica, solo il 13% dei posti vacanti è stato coperto. Materia per materia, gli immessi in ruolo nel 2010 sono stati: 2 (su 33 cattedre vacanti) per filosofia e storia, 4 (su 50 cattedre vacanti) per matematica e fisica, 1 su 64 per lettere, nessuno su 54 per scienze, 3 su 30 per educazione fisica. Non migliore la situazione dei dirigenti scolastici: oggi in Lombardia un quarto dei posti è vacante (300 su 1.200) e il trend dei pensionamenti è di circa 150 l’anno. Di questo passo entro due anni metà delle sedi sarà vacante, mentre le procedure concorsuali avviate potranno coprire solo 250 posti. Nettamente peggiorative anche le condizioni contrattuali per i professori, con blocco di stipendio e di scatti di anzianità fino al 2013.
“La riforma – dice Paola Mastellaro, che al Bottoni insegna lettere da molti anni – ha ridotto le ore di inglese e ha eliminato la seconda lingua straniera, ha ridotto le ore di latino, rende difficile fare cattedre sensate e costringe a interrompere la continuità didattica: gli studenti rischiano di cambiare insegnanti tutti gli anni. E ancora, induce i presidi ad assegnare più di 18 ore ai docenti, riducendo i posti di lavoro per i precari, che intanto non entrano in ruolo, anche se il loro lavoro è sempre necessario perché nessuna scuola ha tutte le cattedre coperte da soli docenti di ruolo. Infine, i fondi per pagare lo straordinario arrivano in ritardo e col contagocce. Dei tagli al pubblico impiego – conclude – l’86% sono dipendenti della scuola”.
Facendo vittime in tutte le categorie: i ragazzi, ai quali viene offerta una formazione sempre meno accurata e competente, i professori, che vedono peggiorare le già inique condizioni economiche del loro contratto, le famiglie, che a fronte dell’offerta di un servizio peggiore non vedono certo diminuire l’imposizione fiscale, ma anzi aumentare gli stanziamenti a favore della scuola privata.
Qualche altro dato. La situazione dei precari nella provincia di Milano, per esempio: all’1/9/2010 le immissioni in ruolo erano 686, contro 5.000 cattedre scoperte; in pratica, solo il 13% dei posti vacanti è stato coperto. Materia per materia, gli immessi in ruolo nel 2010 sono stati: 2 (su 33 cattedre vacanti) per filosofia e storia, 4 (su 50 cattedre vacanti) per matematica e fisica, 1 su 64 per lettere, nessuno su 54 per scienze, 3 su 30 per educazione fisica. Non migliore la situazione dei dirigenti scolastici: oggi in Lombardia un quarto dei posti è vacante (300 su 1.200) e il trend dei pensionamenti è di circa 150 l’anno. Di questo passo entro due anni metà delle sedi sarà vacante, mentre le procedure concorsuali avviate potranno coprire solo 250 posti. Nettamente peggiorative anche le condizioni contrattuali per i professori, con blocco di stipendio e di scatti di anzianità fino al 2013.
“La riforma – dice Paola Mastellaro, che al Bottoni insegna lettere da molti anni – ha ridotto le ore di inglese e ha eliminato la seconda lingua straniera, ha ridotto le ore di latino, rende difficile fare cattedre sensate e costringe a interrompere la continuità didattica: gli studenti rischiano di cambiare insegnanti tutti gli anni. E ancora, induce i presidi ad assegnare più di 18 ore ai docenti, riducendo i posti di lavoro per i precari, che intanto non entrano in ruolo, anche se il loro lavoro è sempre necessario perché nessuna scuola ha tutte le cattedre coperte da soli docenti di ruolo. Infine, i fondi per pagare lo straordinario arrivano in ritardo e col contagocce. Dei tagli al pubblico impiego – conclude – l’86% sono dipendenti della scuola”.
Prof. Chiodo- Admin
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